"il Caffè" dietro lo specchio
Anna Busetto Vicari, Introduzione
Del testo che pubblichiamo qui di seguito,
originariamente privo del titolo, sappiamo poco. L'abbiamo trascritto da un vecchio nastro, che dovrebbe risalire all'incirca al 1967.
Non sappiamo quale fosse la sua destinazione: una conferenza, forse, una
registrazione radiofonica, o semplicemente una riflessione privata. In ogni
caso, non si tratta certamente della redazione finale e questo spiega , forse,
la mancanza di concisione e di elaborazione del testo, ricco di imperfezioni.
Abbiamo avuto il desiderio di pubblicarlo lo
stesso, così com'è, perchè vi è espressa chiaramente quell'idea di letteratura
che Vicari, per oltre trent'anni,
propose, discusse, elaborò con gli amici e collaboratori che insieme
a lui diedero vita a "il Caffè", la rivista che Vicari fondò nel '53
e diresse fino al '77 , e nella quale coinvolse tutti o quasi gli scrittori di quella letteratura
che, forse limitandola, usiamo definire satirica.
Vicari era partito
dall'umorismo, negli anni '50, quando in pieno realismo, era infastidito, a volte, dai toni
troppo spesso malinconici di
quella letteratura. Voleva
rivolgersi al riso e all'ironia e fare una rivista assolutamente libera
.
Cosô diede il via un giornaletto privo di mezzi
e semiclandestino, che, agli inizi,
cadde in qualche eccesso goliardico. Cominciò con il reperire tutti
i giovani scrittori
dell'ultima generazione e
iniziò a pubblicare
Calvino, Rea, Emanuelli, Parise,
Delfini, Manganelli, Fratini, Arbasino e moltissimi altri,
che divennero de "il Caffè" amici e strettissimi
collaboratori.
Nei primi anni "il Caffè" si occupò non solo di letteratura, ma anche dei suoi rapporti con il
giornalismo , il costume e la
politica. Fece molte inchieste sui temi d'attualitê e diede spazio alla fotografia.
Poi, nel '57, con una nuova veste tipografica,
scelta insieme a Ennio Flaiano, che della rivista avrebbe dovuto essere
condirettore, ma che rinunciò, "il Caffè" cominciò ad assumere
posizioni sempre più precise e individuò il proprio raggio d'azione: quello
delle 'deviazioni letterarie'.
Divenne, a poco a poco, una rassegna permanente
degli scrittori eccentrici e satirici di tutto il mondo e analizzò tutte le
possibilitê di quella letteratura che da molti, in qualche modo, era
considerata un genere minore.
Su ogni numero, "il Caffè" andava a
riscoprire gli autori del passato - da Rabelais a Swift, da Cantoni a Dossi-, con una coscienza filologica
che dava supporto all'altra anima della rivista, quella costituita dall'invenzione
e, in alcuni casi, dall'improvvisazione.
Contemporaneamente, richiamava
l'attenzione dei lettori su
scrittori ancora troppo poco apprezzati - tra i tanti : Cros, Morgenstern, Aub, Mrozek -, nell'Italia provinciale di quegli anni, con eccellenti
'importazioni'.
Dagli anni '60, "il Caffè" si
arricchì anche della collaborazione di grandi disegnatori: Folon, Topor,
Steinberg, Maccari, Zannino, Guelfo
e molti altri.
Vicari fece "il Caffè" in modo molto
artigianale. Nella casa romana di via della Croce, scrisse e ricevette migliaia
di lettere da tutto il mondo. Creò
intorno alla sua rivista una rete di stretti e interessanti legami, che nel tempo , purtroppo, si sono dispersi.
Una storia de "il Caffè" si potrebbe
rifare anche su quelle lettere. Sarebbe interessante ricostruire il fitto e mutevole mosaico di rapporti
che si svilupparono intorno alla
rivista, secondo dei modi , al giorno d'oggi, impensabili e impraticabili.
La libertà de "il Caffè" veniva anche da lì: Vicari non cedette mai la rivista, e
si affaticò per anni a riparare le difficoltà finanziare che ne rendevano precaria l'uscita fin
dagli inizi, ma aveva dalla sua amici e collaboratori, alcuni dei quali,
Calvino, ad esempio, gli
mandavano sempre gratuitamente i
loro pezzi. Nel suo studio, tirava
il fiato, ogni volta che il numero era pronto per la tipografia, dopo
averlo montato, tagliato e
rimontato più volte.
Ma "il Caffè" , ormai, viveva anche un po' di vita propria: negli anni si
era costituito una sua solidità ideale,
che lo faceva andare avanti, per scavare più a
fondo nel terreno che aveva preso
di mira .
Così , con la
continua
proposta di testi creativi e col dibattito
teorico, sulla rivista si arrivò a considerare la possibilità che da quelle lontane premesse si potessero
concepire nuovi strumenti
letterari.
Non si trattava, cioè, di
arricchire la satira come genere letterario, ma di farne lo strumento per una
nuova condizione letteraria, i cui confini fossero, di continuo, mutati e
allargati.
Anzi, i generi
letterari furono tra i primi bersagli contro i quali "il Caffè"
intraprese la sua battaglia. Tutto quello che poteva costituire un limite, un
condizionamento era da respingere.
Così, si intendeva
adottare l'irrisione permanente come strumento di verità. Distruggere di
continuo è il solo modo per rinnovare, per riaprire il genuino processo vitale.
Eliminate le
restrizioni dei generi letterari, delle catalogazioni e delle programmazioni, l'irrisione diveniva l' unico strumento
perchè si riaprissero alla letteratura
i confini dell'inatteso.
La sola possibilità per ridare vigore ai
contenuti e ai linguaggi letterari
era scatenare l'inaspettat , e far si che nei libri si potesse scorgere
una smorfia, e non la solita, impassibile, monotona, solenne, ipocrita,
obbediente, faccia di marmo.
Vicari credeva che la strada della
letteratura costituisse anche un
prova di coscienza politica.
Denunciava il distacco totale tra il mondo della politica e quello
dell'arte e della letteratura. Di rado si creavano le condizioni per utili scambi, mentre accadeva
spesso che il secondo fosse al servizio del primo.
Scriveva Vicari nel '67: Pullulano gli scrittori stipendiati:
peggio ancora, il sistema stipendia gli stessi rivoluzionari, regolarmente
inquadrati entro le stanze dei bottoni politici o industriali.
La possibilità 'politica' della letteratura
doveva svilupparsi a partire dal suo strumento principale : la lingua, della quale "il Caffè" rivendicava
la libertà, non solo allo scopo di
aprire all'uso di nuovi strumenti
espressivi, ma per scoprire e definire nuovi campi della conoscenza,
determinare nuove concezioni .
Oggi, vorremmo vedere se si può trovare in
tutto questo qualcosa di valido. Magari è
ancora possibile scorgere in quel senso continuo di opposizione e di
alternativa un riferimento buono per un atteggiamento dello spirito.
A una nuova
parola - credeva
Vicari- possono seguire anche comportamenti nuovi. ... Un sottile e discreto flusso di
spregiudicatezza può giovare a
restituire forza e libertà
all'intelligenza, a qualsiasi livello.
Ma nulla è semplice, soprattutto in letteratura
: le innovazioni non devono mai ripiegarsi su se stesse, mai perdereil loro
legame con la realtê.
La carica dissacratoria dell'invenzione
linguistica si spegne, appena questa si distacca dal mondo esterno
e perde il senso dei propri
limiti, ossia la necessaria dose di autoironia.
L'irrisione, ricca dell'esuberanza creativa del
giuoco, può anche giungere alla
progettazione e all'invenzione. Ma
è necessario che il giuoco si faccia crudele, che non si fermi agli aspetti
letterali rimanendo pura parodia e giunga, invece, ad operare su quelli simbolici,
incurante di ogni limite di sicurezza.
Ecco, noi vorremmo riflettere anche sulla necessità che la cultura -e con essa la satira- non si
accontenti mai dei propri modelli e dei propri piccoli successi, che sia
costantemente pronta all'autoverifica, in modo da conservare il proprio ruolo fondamentale , che è
quello di far si che non vi sia
mai nulla di garantito.
Le piccole verità - scriveva Vicari- sono le
idee usate. Invece le idee sono buone una volta sola, poi sono sempre da
buttare.
Giambattista Vicari, IL CAFFE’ DIETRO LO SPECCHIO
"Je suis l'expulsé des vieilles pagodes
Ayant un peu ri pendant le mystère ;
Les Anciens ont dit : il fallait se taire
Quand nous récitions, solennels,
nos odes." -1-
Questo è l'atto di contrizione di un grande
poeta francese, Charles Cros, ridotto al silenzio perché non aveva saputo tacere.
Charles Cros è stato un grande scrittore e un
grande scienziato: ha inventato il fonografo, la fotografia a colori e tante
altre cose.
Ma non è contato nulla, di lui non è giunta
quasi nessuna memoria.
Cros non sapeva tacere, interrompeva sempre,
diceva un po' come i bambini che intervengono nei discorsi dei grandi “Perché?
Perché questo? Perché è così e non in un altro modo? “
Perché? Ma non c'è un perché. Non vogliamo che ci sia. Le regole ci sono date e le dobbiamo accettare
così.
Ma questo non è un
modo per andare avanti, così bloccati. Le circostanze sono sempre diverse e
reclamano il dubbio.
Il nostro destino è di cambiare pelle.I nostri
occhi guardano ogni giorno da un luogo diverso, che non è mai quello di ieri.
Le prospettive spesso si capovolgono, il punto di mira si rovescia.La vita è un
osservatorio sempre diverso. Contro le sorprese non c'è nessuna garanzia,
nessuna assicurazione.
Un giorno, Lewis Carrol dette ad Alice
un'arancia. Alice era la figlia del decano suo vicino di casa, anch'egli un ecclesiastico
.
“In che mano la tieni?”le chiese.
“ Nella destra“ .
“E adesso? - disse lo scrittore- Guarda quella
bambina nello specchio : in che mano tiene l'arancia? “
“Nella sinistra. “
“E com'è questo fatto? “
“ Se potessi passare dall'altra parte dello
specchio - disse Alice - potrei tenere ancora l'arancia nella mano destra“.
Qualche anno fa, -2-
con alcuni amici, volemmo fare la prova dello specchio in pubblico. C'erano
Umberto Eco, Piero Chiara, Luciano Bianciardi, Giorgio Soavi e altri. Eravamo
alla terrazza Martini a Milano dove ci avevano invitato a indagare su questo interrogativo: gli italiani
non ridono?
Perché, insomma , gli italiani sono così sicuri
di tenere sempre l'arancia nella mano destra e non con l'altra mano?
Però, molti degli autorevoli intervenuti alla
riunione contestarono addirittura la rilevanza del problema.
“Gli italiani - dissero- sono i più spiritosi
del mondo“.
Così, se mai quell'occasione avesse potuto
costituire un piccolo sondaggio di pubblica opinione, era impossibile non
dedurne che in giro c'era troppa sicurezza. Per questo decidemmo di togliere
l'interrogativo alla domanda, ma la nostra decisione fu proprio poco
apprezzata.
Però, dispiaceva di più a noi dover ammettere che in generale si è troppo
sicuri di tenere l'arancia nella mano destra , quando, spesso e in ritardo, ci
capita di trovarcela nella
sinistra.
Ma è carità di patria insistere: un simile atteggiamento può essere
addirittura pericoloso. Non si consolida la sicurezza rifiutandosi di andare a
guardare nel rovescio delle cose.
Mentre noi nascondiamo la testa nella
sabbia altri si fanno avanti e non
si limitano a guardare dietro lo specchio, ma lo capovolgono e lo mandano in
fran-tumi , per passare dall'altra parte.
Questo irrigidirsi della propria coscienza,
questo continuo rinchiudersi nelle
proprie certezze settoriali non sono per niente da prendersi alla leggera.
Perché rifiutare le alternative? Le alternative
sono vive e allegre: hanno sempre un fondo di irrisione. Sono la parodia del
vero, la controfigura di tutto quel senso comune dentro il quale crediamo di renderci immuni e inattaccabili.
Accettarle può essere
scomodo, ma è anche l'unico modo per seguire la vita da vicino, nei suoi
sbandamenti incessanti.
La nostra stampa è la
meno polemica. Le denunce, a tutti i livelli, compreso quello parlamentare,
vengono subito assorbite e archiviate e non turbano più nessuno. Non c'è in
giro un giornale satirico. La protesta si riduce a un atteggiamento snob, a un fatto di moda.
I poeti maledetti chiedono, aspirano al salario
di Mecenate e si guardano bene dal disturbare i riti delle vecchie pagode,
perché vi vogliono partecipare e non venirne espulsi come accadde a Charles Cros.
E poi, ci si stupisce se l'irrisione assume
forme violente e spesso irrazionali, come per esempio quella degli studenti ,
dei giovani.
Pensate davvero che il problema più importante
sia per essi il riordinamento dell'insegnamento accademico?
No, no. Questo è un pretesto. E' l'unica
occasione che hanno sottomano.
Al
loro risveglio nella vita, i giovani si trovano dentro la scuola e
di qui fanno partire il loro
sberleffo.
Il mondo accademico, mummificato dall'automatismo e immerso nella routine ha tirato troppo la corda e a un
tratto l'iniziativa ha cambiato di mano. Perché è successo questo? Perché qui
c' era la sicurezza assoluta, c'era l'assenza di ogni dubbio, c'era la resa
soddisfatta agli schemi.
Sarebbe bastata una piccola dose di autocensura
cioé, in certi casi, un poco di senso del ridicolo. Ci vuole molta generosità a
irridere, perché bisogna sempre cominciare da se stessi.
Il poeta Leonardo Sinisgalli di recente ha
scritto del pittore Mino Maccari : " Lo abbiamo visto tremare
ridendo". Mino Maccari, nel ventennio, quando era quasi proibito ridere e
quando era proibitissimo avere
dubbi, coi suoi disegni, col suo Selvaggio, coinvolgeva sempre anche se stesso nella censura
del suo riso.
E non è un mestiere
facile ridere e irridere. Sembra tracotanza, e invece è un atto di umiltê.
Nessuna condizione è estranea all'uomo, e
quindi bisogna sempre agire dall'interno, non dal di fuori. Agire vuol dire
smuovere qualche cosa, prendersi la propria parte di responsabilità.
Il confronto continuo tra la realtà sensibile e le ipotesi che intravediamo può
rendere impraticabili gli istituti su cui ci reggiamo e perfino gli oggetti dell'uso comune, come, per
esempio, oggi accade al linguaggio.
Ma perché dovremmo farci così difficile la
vita? I dubbi ci esiliano da tutto ciò che la vita, l'esperienza e la
tradizione hanno così faticosamente predisposto per noi.E noi, cosô, chiudiamo
col vecchio mondo, ma quello che vorremmo è ancora inabitabile
E
allora, perché? Il problema da chiarire, ci sembra, è proprio questo. Se sia
bene auspicare questo nuovo mondo che si libra tra cielo e terra, ancora
cosô incerto e poco probabile. Perché rinunciare a
tutte le nostre comodità? Perché sfidare sempre i mulini a vento? Perché
affidarsi all'utopia che é l'invocazione a un impossibile paradiso in terra?
Lo stesso paradiso
non è un posto immobile e senza contrasti. Una delle poche testimonianze che ne
abbiamo è quella di Cesare Zavattini. Ricordate Parliamo tanto di me ? -3-
Dice un beato “Abbasso Cadabra. -...- Io lo sfido“.
E l'angelo custode che è là a sorvegliare il
gruppo non si oppone: “Perché no? Combiniamo una vera tenzone“.
Dunque, neppure in Paradiso le forme sono
perfette e chiuse. Forse, lassù, non c'è neppure il benessere , così come noi
lo intendiamo oggi.Il benessere che ci ottunde le facoltê del riso e della tenzone e il gusto della sfida
continua.
Il riso, ormai, è una smorfia da nulla -4-. Dice, infatti, Leonardo Sinisgalli, che allo stato attuale delle cose gli strali dell'irrisione
colpiscono ben debolmente nel segno, specialmente quelli letterari, nell'indifferenza completa di questa nostra società
opulenta. -...- . Al massimo, sorrisi, qualche mugugno.
Sinisgalli afferma che tutte le frecce, in
particolare quelle letterarie, sono oggi spuntate. Non ci sono arcieri dal tiro
preciso e infallibile.
Le
Cosmicomiche -5- di Calvino non valgono Voltaire, dice il poeta , con un ben curioso e
strano parallelo e Saverio Vòllaro -6-
non è Giuseppe Giusti. Dice, anzi
"Vòllaro
travestito", che potrebbe voler dire anche: " E’ mitizzato o
ambiguo".
E invece, Vòllaro, che è uno dei nostri
scrittori satirici attuali più aggressivi, assieme ai pochi altri che praticano questo scomodissimo genere, è
del tutto scoperto, pienamente disponibile alle offese e alla reazione degli
anziani, che celebrano i loro riti nelle vecchie pagode.
Ma è proprio vero che
queste frecce sono tutte spuntate? E' proprio vero che la scelta di una tale
condotta irriverente non comporta, come dice Sinisgalli, il rischio
mortale che, così
com'è, per dirla con le sue parole, ilpotere costituito non si sgonfi? Ma nessuno vuole
che si sgonfi . Però che si svegli sì .
Guardiamoci, per semplificare le cose: quando
il Duca di Choiseul incontrò, in terra di Francia, Yorick, disse “Un uomo che
ride non è mai pericoloso“.
Tuttavia, il viaggio sterniano del povero
Yorick continua ancora e ogni tanto arriva in qualche posto. Adesso, è perfino
giunto nelle Università , a cavallo di quel suo ronzino sfiancato.
La rivolta dei giovani , ora in atto, infatti,
partecipa non poco di una simile natura eteroclita in tutte le sue
declinazioni, così come Sterne definiva il suo personaggio -7-.
E se costui non ha ancora potuto mettere
il campo a rumore
in letteratura, come ha potuto
farlo, per esempio, negli atenei e
in altri posti, è colpa o è merito della letteratura.
Ognuno decida , come meglio gli conviene, se questo fatto è
un bene o un male. Ma è un fatto innegabile che la nostra letteratura è ancora
molto candida, piena di riguardi e
di delicatezze e in molti casi ha ancora le idee abbastanza confuse,
cioè utilizza molto le idee ricevute.
Nel nostro caso
particolare, la letteratura non sa ancora
ben distinguere i toni e i gradi dell'irrisione. Abbiamo visto come un
famoso lirico contemporaneo possa confondere le favolose alternative di Calvino
con la sferza di Voltaire e Vòllaro con Giusti. Ma non bisogna
scoraggiarsi. La vita fluente non
prende sempre poi le topiche di Parnaso .
Questa inquietudine che serpeggia o che esplode
qua e là, magari non sa ancora di preciso che cosa vuole, ma è certo che lo
vuole fermissimamente e lo vuole in dimensioni totali.
Abbiamo già detto che sarebbe un errore credere
che i giovani chiedano soltanto la riforma universitaria. Le riforme accademiche sono soltanto l'ipotesi
primaria per penetrare nella situazione globale .Il nucleo del problema è totale. La frattura non è dentro la
scuola ma è tra scuola e società,
anzi, diciamo pure, tra cultura e società.
La società della produttività piena e del benessere,
degli schemi per tutti e per tutti gli usi, degli slogans, dell'utilitarismo e
dell'enfasi, delle certezze automatiche e dei beni di consumo pianificati, ha
isolato la cultura; l'ha posta al livello dei tanti generi di conforto, che il
sistema amministra come garanzia per la comune sicurezza.
La separazione, la mancanza di comunicazione e
di scambio, di contestazioni alla pari e di autocritica, va configurando due
mondi: uno reale e tangibile e l'altro, per ora, velleitario, astratto e
assurdo, che non hanno niente in comune.
Ci sono nel paese un classe effettiva e una classe ideale, che si
pongono ormai in alternativa. Il problema delle generazioni è soltanto
apparente . E' una circostanza.
Il problema sostanziale è un altro e riguarda
la scelta radicale degli strumenti con cui interpretare il mondo, il modo di
leggere le cose.
Perfino
tra i significati della parola, va alzandosi, tra i due versanti, un muro. Ma
dov'è possibile un accordo?
Non c'è da farsi nessuna illusione che il luogo
di un simile incontro possa essere
scelto con la collaborazione diretta. La stanza dei bottoni continuerà a ignorare e a disprezzare
le aree dell'utopia intellettuale. Continuerà a esiliarne i paradossali
abitanti , quando questi non
vogliono lasciarsi strumentalizzare.
Li considererà sempre gente che vive nello spreco, autosufficienti come
i lebbrosi a cui si danno le briciole da oltre il recinto.
La sufficienza è la regola di tutti i giorni.
Ma allora perchè stupirsi che la cultura pratichi le strade dell'assurdo? Il
rifiuto del dialogo obbliga, per
una forza quasi naturale, a mettere
in discussione tutto, perché niente si salva nel silenzio dell'impossibile
interlocutore. Dov'è la zona franca
nella quale si potrebbe dignitosamente venire a patti?
Cosi, si comincia ridendo, ma il punto finale è
oscuro per tutti. La cauterizzazione si fa col fuoco. Ma chi è che davvero ci
scherza?
Il grande
scrittore inglese Max
Beerbohm -8- , un italiano onorario, che ha vissuto più di trent'anni in Italia , senza
che la nostra
accademicissima cultura
abbia mai dimostrato di
saperlo avvistare, un giorno, a
Londra, capitÿ sulle rive del Tamigi.
Era un quartiere popolare, dove i pompieri
stavano spegnendo le fiamme che avvampavano da un pontile.
Beerbohm si avvicinò ai solerti
vigili del fuoco nell'esercizio delle loro funzioni e , nel modo più fermo,
ingiunse loro , testualmente, di
desistere dal loro vandalismo. “Perché - disse- impedire alla povera gente di
quel quartiere, che ha così poche gioie della vita, di godersi un simile
spettacolo? “
Oggi, nei
settori in fermento, si va facendo lo sgambetto ai pompieri, senza preoccuparsi
del danno che può causare il falò. Quello che conta è che qualcosa bruci.
Si osservi, per esempio, la strategia della
sommossa studentesca. Quello che si rifiuta è infinitamente di più di ciò che
si propone. I giovani respingono l'uso dei canali ufficiali.
Puntano sulla forza creativa del caos. Sdegnano
l'organizzazione, anche dentro il loro stesso corpo. Non accettano alleati e
accolgono gelidamente e ostilmente gli stessi docenti che si fanno avanti per
solidarizzare con loro. Fischiano i rapresentanti dei partiti che vorrebbero
accappararsi la loro rivolta.
La loro ripugnanza per
il sistema e per i sistemi è assoluta: dicono che tutto ciò che è dato è per
essi inutilizzabile. Il demone della inesattezza è la leva suprema, una forma d'irrisione allo
stadio ultimo, che liquefa le cose e le aliena.
Ma l'irrisione non è una forma disperata: è lucida , apollinea, quasi
disinteressata.
Perché, dunque, questi eccessi? Perché, forse,
anche la cultura, ha la sua parte di responsabilità. Troppe cose le sfuggono
dalle crepe della propria pigrizia. E' la pigrizia di chi alimenta la propria
perfezione immobile, e la presunzione
delle piccole verità. Soddisfatta
di sé, tende più alla irreversibilità che non al movimento e così
rischia la morte per soffocamento
e per proliferazione.
Perfino la tecnologia, che divora di continuo
se stessa per alimentare il suo flusso in modi sempre diversi, sa che i
modelli vanno rinnovati senza
posa.
Ma, troppo spesso, la cultura e , in
particolare, la letteratura coltivano il proprio benessere. Non osano smentire
le forme dei loro labili successi. E trasformano le loro invenzioni in utensili
in serie.
Perché tutte le rivolte in corso nel mondo
hanno questo registro di baccanale un po' crudele? Perché cresce il disgusto
per la pianificazione dell'anima. All'immagine univoca e orrenda
dell'automatismo spirituale , gli uomini preferiscono il rischio di disporre di
cento dimensioni incontrollabili.
A riti
di questo genere, non si può chiedere la prudenza. Le verifiche dell'esperienza
pagano sempre un pedaggio molto alto.
Lautréamont, alla fine della sua breve
esistenza, disse: “ Ho cantato male, ho un po' esagerato il diapason“ e anche Oscar Wilde , negli ultimi giorni della sua
vita, disse qualcosa di simile: “
Decisamente, io muoio al di sopra dei miei mezzi“.
Ma è peggio vivere al di sotto dei propri mezzi
e ridursi nel timore di non
apparire saggi abbastanza. Il dubbio e la derisione sono certamente anche
follia. Ma una follia lucida, che ormai è fornita di strumenti molto precisi.
Ricordate quello che diceva
Polonio di Amleto ? “Costui delira. Ma
la sua follia non manca di metodo“.
Si osservi, oggi, come i congegni dell'intelligenza funzionino
curiosamente. Spesso, i loro movimenti marciano in senso contrario l'uno
all'altro: per esempio, impegno e disimpegno, però ambedue radicalizzati
all'estremo.
Ma
viene contraddetta ogni legge fisica: i moti sono contrari ma non sono
antagonisti. E cosi', niente si ferma ma procede piu' vorticosamente. Il segno,
apparentemente contrario, diventa comune ai due poli estremi , perche' la mira
in tutti e due i casi e' la stessa: lo scavalcamento assoluto.
Nessuno sa dove andra' a finire, ripiegando o
avanzando, ma sa che deve esplorare o recuperare dei territori nuovi o del
tutto rinnovati. Che si tenda , per esempio, a scavalcare il linguaggio per
risalire alle fonti del verbo o a scavalcare la sinistra convenzionale con
grande costernazione di questa , per approdare in una Cina, che poi potrebbe
essere anche il Giappone dei Samurai ?
Poco importa. Una vena sempre piu'
provocatoria, un poco grottesca , anima gli uni e gli altri. Ormai, sia i restauratori che i guastatori
sono alleati e il rovesciamento deve essere totale. Cosi' , i canoni della contestazione sistematica sono
messi in difficolta'. Quella che si suol dire"l'opposizione di Sua Maestà'"
si riduce a giochi di parola, che
sono entrati a far parte del meccanismo anch'essi, e l'antiretorica corre il
rischio di diventare nuova
retorica.
Perfino il riso non basta piu'. Fino ad appena ieri, la nostra letteratura era del tutto allergica
a questa componente. Oggi, se ne fa addirittura uno spreco, pero' e' un ghigno
gentile, rassicurante, una nuova eleganza massificata. E' un tic. E' uno
scetticismo a fior di pelle da gente per bene e scaltrita, che non si vuole
lasciar prendere piu' nelle trappole dello stupore.
E così stiamo facendo l'abitudine a tutto,
anche ai marziani . Il surrealismo conforta i nostri ozi; la fantascienza e'
entrata nel repertorio dello spettacolo del sa-
bato sera e la
letteratura, che ne fa
ormai un uso corrente, e' come quell'Alvaro Di Giovanni del libro di Flaiano
-9- , che, per l'appunto, incontra un marziano
sulla spiaggia.
“Se credi d'impressionarmi- sembra dire“.
Dice l'essere spaziale “Io marziano “.
Ma
Di Giovanni pensa : “E con questo? “
Dopo raccontera' l'incontro “ Ho finto un po'
la sorpresa -...- . - Ah! Davvero,
come sono contento“.
Ma per lui vedere un marziano non e' motivo di
nessuna sorpresa.E' una cosa da niente. C'e' invece una cosa che lo stupisce,
che non riesce a capire: e' perche' il marziano sia cosi' alto.
“E io -dice testualmente Alvaro di Giovanni -
le persone alte non le capisco“.
Bisogna notare che Alvaro di Giovanni e'
laureato in letteratura. Dunque, una letteratura dove perfino i marziani sono cosi' di casa, rischia di
girare un po' su se stessa.Bisogna far leva da qualche parte. Ma dove? E'
chiaro che ci sono troppe certezze, troppe regole tranquille
Se tutto e' prevedibile, tutto si
rimpicciolisce e diventa di bassa statura. Le forme letterali, quelle del
vivere comune e quelle del romanzo, della poesia e dello stesso linguaggio,
sono recipienti dal contenuto troppo fisso; bisogna renderli piu'
elastici, piu' pronti a ricevere
tutto.
Bisogna, in sostanza, ridurli a forme simboliche. "La verita'- ha detto il
saggista americano Norman O.
Brown- e' sempre nella forma
poetica: non forma letterale ma simbolica". I pomi delle varie discordie sono episodi minori in cui non sara'
possibile risolvere altro che un
compromesso.
Sono repertori di bassa
amministrazione, da irridere facendone la parodia, come fanno, per esempio, gli
studenti coi loro corsi e coi loro controcorsi , e con tante altre divertenti
invenzioni.
L'operazione, dunque,
deve essere portata , dovunque, ad un altissimo livello intellettuale,
soprattutto a un disinteressato livello intellettuale. I falsi ideali si
equivalgono, sia nel pensiero astratto che nella vita organica, in arte come
negli istituti della esistenza associata. In effetti, dunque, la sfida è rivolta
contro la riproduzione automatica.
La cultura - è il caso di insistere su questo
termine, perche' mai come oggi la letteratura e' stata un fatto dicultura- puo' essere ,per tutti, l'unica
garanzia per im-
pedire alle cose di
trasformarsi in apparato e per riaprire il corso al possibile. Sempre Norman
Brown dice: " La demistificazione diventa la scoperta di un nuovo mistero;
tutto resta uguale".
Certamente, tutto il resto e' uguale, identico a se stesso e alla propria
assenza. Infatti, sono proprio l'uso e la riproduzione che fanno diventare
diseguali le cose, che le privano
del loro carico di mistero e di stupore.
Il mondo delle cose come sono e' il mondo che
si condanna al conformismo, magari al conformismo glorioso e grandioso
come, per esempio, fu quello
vittoriano. Era rigido, massiccio,
inflessibile. Pero', in ogni caso , era sempre inglese e gli inglesi,
come si sa, nella buona e nella cattiva sorte, hanno sempre la capacita' di
sapersi smentire e di sapere muovere le loro stesse contraddizioni.
Lewis Carrol, che era balbuziente e che non
sapeva pronunciare la lettera P ,visse a suo agio in questo mondo , in
quest'eta' delle certezze assolute e non
ne fu espulso. Infatti, gli eccentrici , in una societa' accorta, anche
se rigorosa, costituiscono sempre la grande riserva per il ricambio ogni volta
che ce ne possa essere bisogno.
In quel mondo di
gente nata gia' grande, di potenti, di notabil , Lewis Carrol amava soprattutto
i bambini, questi inimitabili eccentrici. Un giorno, a una festa di bambini,
l'inventore di Alice sbaglia porta ed entra ringhiando come un orso in una sala
, dove c'era una riunione di vecchi signori.
La riconciliazione degli opposti e lo spostare
i luoghi della dialettica sono sempre un grossissimo rischio. Ogni tesi appena
dimostrata e ogni mistero appena svelato
ci ripiombano nell'uguale
Ma non per questo si deve
rinunciare a svelare il mistero, cioe' l'altra faccia delle cose.
Ora, e' chiaro che spetta ai poeti, ai
filosofi, ai narratori di liberare l'inaspettato e di scatenarlo. La societa'
dovrebbe accettare tutto questo
come un servizio, dovrebbe
onorarlo con un po' piu' d'attenzione. Impreparata, distratta, sicura di se', è
intenta a consolidare le mura della citta' con i massi del dato, il piu'
accertato e il piu'
irremovibile, e quando
l'inaspettato le giunge davanti all'improvviso, ecco, e' gia' uno scandalo.Lo
stupore si fa , allora, rancore ed esistenza sorda. Il timore che esso possa
turbare i limiti rassicurativi dal suo vivere , tanto faticosamente congegnato,
toglie ogni possibilita' al dialogo.
Ma l'opposizione non e' quella della cultura
che turba il riposo garantito della societa', ma e' quello, invece, della
societa' che considera cosi' scandalistiche le operazioni della cultura.
Come se l'intelligenza
fosse una prerogativa degli intellettuali.Questi hanno un solo vantaggio : che
possono manipolarla liberamente, perche' le cose non li condizionano.
Gli
intellettuali non hanno , non dovrebbero avere, convenienze cui mirare. Ma, anche
per gli altri, e per chi è costretto ad operare in stretto collegamento col
quotidiano , ci potrebbe, e ci dovrebbe essere, un luogo neutro e immune , in
cui poter deporre gli strumenti e
pensare un poco all'essenza.
Anzi, alla quinta essenza, in cui gli astrattori , come diceva Rabelais -10-,
sanno fare prodigi. “Altri - diceva- di un niente facevano grandi cose e grandi cose rivolgevano in niente. “
Voler guardare la quintessenza dei fenomeni è
certamente un' astrazione , ma è anche un modo di far leva sulle cose. Soltanto se troveremo in ogni cosa
e in ogni fatto il loro simbolo
potremo metterlo in rapporto fra di loro. Questo gioco di prestigio vuol dire
allargare e allungare la vita. Il non farlo può voler dire, tutt'al più, adattarsi a una valutazione mimetica.
Ma noi ci stiamo
muovendo dietro la letteratura, e
la parola non è una kodak per turisti disattenti. Per
trovare i simboli non basta rovesciare le apparenze. Anche noi ci rendiamo
conto ormai che lo humour e la satira non bastano più .
Questo
è un mondo che fa presto a divertirsi perfino con la propria parodia.
Dargli il rovescio della propria medaglia significa consentirgli delle alternative
della medesima natura, anche
se il segno è diverso , in cui è troppo facile
ripiegare.
I giovani l'hanno
capito e rifiutano, addirittura, il rapporto diretto. Ignorano gli schemi
dell'altra parte, non ponendoli neppure in discussione.
E la loro
dottrina si basa sull'esagerazione e sullo shock. Questa esagerazione, ad
esempio, è l'applicazione del metodo dell'interpretazione simbolica. La sua
premessa è il rifiuto del costante.
Leggevo, proprio questa mattina, su un giornale,
il punto di vista di Enzo Bettiza. Enzo Bettiza è un eccellente giornalista di
un grande quotidiano e uno
scrittore: proviene dalla letteratura.
Dice: “E' una società
di pace , di noia e di lavoro , che esclude dal proprio ferreo circuito l'utopia e la palingenesi. Criticarla o negarla è
molto più semplice che
comprenderla e adattarvisi“.
Sarà! Il perfezionismo di questo nostro mondo si fonda, senza dubbio,
sull'impegno operativo : nessuno vuole negare che sia un impegno autentico , e
supporta certamente la
pace , perché operando rettamente
non resteranno pi¥ spazi agli
egoismi. Ma perché, poi, dovrebbe portare necessariamente alla noia ?
Ora ,
è chiaro che bisogna fare in modo che nel ferreo circuito rientrino
l'utopia e la palingenesi , che Bettiza
vede così irreparabilmente escluse. Intanto, la vita continua ad andare
avanti. Ma la vita non è fatta
soltanto di catene di montaggio.
Nonostante gli stampi tecnologici , niente di ciò che ci è apparso oggi è valido una seconda
volta. E non parlo della plastica o dei
programmi della televisione.
Bisogna soltanto evitare che anche i sogni ci siano riprodotti in serie. Almeno,
rompiamo la pianificazione della letteratura, delle arti, del pensiero filosofico.
Il progresso, qui, non può essere lineare e conseguente. Non è possibile. Non è
desiderabile.
Ma , anche nei
circuiti della vita reale, l'idea
di una linea continua mi pare assurda. Adattarvisi anche su di un piano
operativo, puo' voler dire condannarsi all'immobi-
lita' e, peggio, non
saper prevenire l'imprevisto.
E poi, perche'
adattarvisi? Un certo progresso , tutto fatto di cose, diventa una formula che procede da sola
e che ad un certo punto puo' fare anche a meno di noi.
Il sistema si alimenta
delle proprie strutture e alla fine ci espelle e ci priva perfino della
speranza.
Ecco, dunque, dove sono le punte profonde del
disagio di oggi, in mezzo a tanta soddisfazione. Gli stampi che il
mondo ci offre sono belli, sono comodi , ma noi ci accorgiamo che sono anche
tutti uguali e in una scelta molto limitata. Così, appagati, non abbiamo più un volto, perdiamo la faccia.
I nostri successi ci sono
restituititi come oggetti neutri. Tutte le cose cui agognavamo ci condizionano
perfino il destino personale. Altro che adattarsi! - mi pare. Bisogna reagire all'omogeneo che appiattisce e che
parifica tutti i significati.
Ecco perché quella che il dadaista
Picabia chiamava la farmacia dell'azzardo può diventare la salvezza dell'anima, cioè la palingenesi,
proprio come dice Bettiza. E' la nuova ideologia nella crisi di tutte le
ideologie .
“Al mio paese - dice la Regina Rossa visitata
da Alice - se si vuole rimanere nello stesso posto bisogna
correre fortissimo. E se si vuole andare altrove bisogna correre due volte più
svelti“ -11-.
Il pericolo, come si
vede è poco, tutto qui. I procedimenti intellettuali, oggi, non faranno più
esplodere il mondo come è successo tante volte in passato, però possono
spaccarlo in due .
E l'incomunicabilità è già un poco in atto tra le cose e le idee: per esempio, tra la societê civile e la società politica, tra i teorici e i pratici, tra i pragmatisti e i nuovi
romantici che sono gli utopisti di oggi, i nuovi protestatari, gli
intellettuali del rifiuto, i non votanti, o, come li definisce il saggista
americano Leslie Fiedler, i nuovi
mutanti.
E' non è detto mica che si tratti sempre e soltanto di intellettuali. Essi,
quando attaccano, spesso in effetti
fuggono. E la fuga è ben peggio della rivolta a guardar bene per chi, almeno, abbia fede
nell'uomo. Essi non rinviano l'apocalisse ma la consumano interamente
subito.
Il pedaggio da pagare per ricostituire l'unità
di questi due mondi è, dunque, la
rinuncia ai feticci, alle immagini
fisse, ai meccanismi guidati.
La
letteratura serve a liberarcene,
ad aiutarci a far tornare in niente - come diceva
Rabelais - le cose che crediamo
grandi e che spesso non lo
sono. Bisogna volere che non lo siano, bisogna soprattutto non
adorarle mai.
Dobbiamo continuamente irriderle, confondere le
loro misure, fingere che siano piccole quando sono grandi, e
fare come se fossero grandi e
goffe quando invece sono piccole e meschine ... - 12-
Note
-1- Io sono l'espulso
delle vecchie pagode -dei templi ufficiali-,
perché ho riso un poco durante la cerimonia. Gli anziani -i notabili- hanno detto:
“Bisognava star zitti , mentre noi recitavamo
solenni le nostre odi “.
La traduzione è di Vicari. Questi versi
aprono il capitolo, dedicato a Charles Cros, all'interno del volume Humour
1900, E'ditions J'ai lu, 1963, curato da Jean
Claude Carrière.
-2- nel 1964
-3- Cesare Zavattini, Parliamo tanto di me , ed.Bompiani, 1938
-4- Ricordiamo la raccolta di scritti che
Vicari pubblicò con il titolo La smorfia
letteraria, maccari
editore, 1968.
-5- Una parte de Le Cosmicomiche fu pubblicata in
anteprima su "il Caffè"
-n.4, 1964-.
-6- Vòllaro fu amico
di Vicari e assiduo collaboratore de "il Caffè"
-7- ... una creatura così eteroclita nei suoi atteggiamenti, pieno di tanta
vivacità e
bizzarria, di tanta
gaité de coeur, che solo il più benigno dei climi avrebbe potuto
generarlo e metterlo
insieme...
Laurence Sterne, La vita e le opinioni di Tristram Shandy gentiluomo,
1958, Giulio Einaudi
editore - traduzione di Antonio Meo- .
-8- Max Beerbohm - 1872-1956-, parodiò la
cultura decadente dei suoi contemporanei
con opere letterarie e
raffinate caricature.
-9- Ennio Flaiano, Un marziano a Roma , Giulio Einaudi
editore, Torino, 1960.
-10- Astrattor di quinta essenza è
l'aggettivo attribuito, da Rabelais, in apertura del Pantagruele e Gargantua, a Alcofribas Nasier, anagramma sotto cui
celò il proprio nome.
-11- Lewis Carrol, Alice nel Paese delle Meraviglie -prefazione di André Maurois, Illustrazioni di John
Tenniel-, Sugar Editore, 1967.
-12- Il nastro su cui è registrato il testo è stato cancellato nell'ultima
parte. Solamente poche altre frasi sono decifrabili. Abbiamo
ritenuto opportuno interrompere a
questo punto la trascrizione, per non privarla della sua omogeneità.